Ci capita spesso di acquistare dei prodotti che vantano sulle confezioni un certo quantitativo di fermenti lattici. Cosa si cela dietro a questo numero?
Si tratta di un preciso processo di analisi che passa al setaccio i lactobacilli, uno ad uno. Generalmente, questo avviene tramite un metodo di conta su piastra, che impegna l’analista di laboratorio nelle fasi di identificazione e lettura della vitalità delle cellule su un terreno di coltura.
Questo metodo tradizionale, però, subisce l’influsso di fattori esterni non controllabili che possono aumentare la variabilità del dato di analisi, e restituisce una visione parziale del campione analizzato; per questo motivo è stato messo a confronto con un altro metodo analitico, che prevede l’utilizzo di uno strumento dalle incredibili potenzialità: il citofluorimetro.
A credere nella possibilità di usare il citofluorimetro nella conta dei probiotici è stato il Dott. Emanuele Nencioni, responsabile del laboratorio di analisi controllo qualità del sito di Mereto di Tomba.
Dopo aver simulato un integratore alimentare contenente un lactobacillo e un bifido batterio, Nencioni ha guidato un team di analisti nella conduzione di uno studio di convalida dei processi in condizioni ICH (International Council of Harmonisation) comparando questo metodo e la conta su piastra.
I quattro mesi di analisi svolta con la collaborazione della Dott.ssa Michela Bulfoni dell’istituto di Patologia del dipartimento di Medicina dell’Università degli studi di Udine, e del Dott. Luca Michelutti analista di laboratorio presso l’ASU di Udine nonché collaboratore di Biofarma Srl fino a dicembre scorso, hanno restituito evidenze importanti raccolte in una pubblicazione scientifica sul Journal of Microbiological Methods.
Il citofluorimetro si contraddistingue per la versatilità di utilizzo e per la capacità di restituire numerose informazioni sulle cellule: – “un liquido trasporta il campione nello strumento. Le cellule vengono ordinate in fila indiana in una camera di pre-conta e passano poi in una camera di conta, dove vengono investite da un raggio laser che legge la loro composizione e la loro morfologia. Un dispositivo elettronico poi, trasforma queste informazioni in segnali che vengono trasferiti su un computer” – spiega Nencioni.
Ci dà una fotografia a tutto tondo delle cellule riducendo la variabilità dei risultati
A questo metodo, è stata poi applicata la norma ISO 19344 relativa all’analisi dei probiotici per il settore lattiero-caseario, che prevede l’uso di due coloranti i quali, legandosi a specifiche parti della cellula, evidenziano quelle vive, quelle danneggiate e quelle morte. –“Si tratta di un metodo importante, perché ci dà una fotografia a tutto tondo delle cellule riducendo la variabilità dei risultati e ci permette anche di sfruttare le potenzialità di quelle danneggiate, non rilevate dal metodo su piastra” – precisa Nencioni.
Il citofluorimetro presente nel laboratorio di analisi microbiologica del plant di Mereto di Tomba è stato acquistato nel 2017 con un investimento di 70 mila euro e ha permesso all’azienda di condurre un pioneristico utilizzo dello strumento nell’analisi dei probiotici. Nel tempo, anche altre realtà del comparto hanno iniziato ad avvalersene, riconoscendone l’affidabilità.
Il citofluorimetro si contraddistingue per la versatilità di utilizzo e per la capacità di restituire numerose informazioni sulle cellule.
Oggigiorno il laboratorio del plant di Mereto applica il metodo sia per l’analisi delle materie prime, dei semilavorati, dei prodotti finiti sia per i rilasci e le stabilità, offrendo un servizio sempre più accorto ai nostri clienti. Nel 2019 sono state 350 le analisi condotte per rilasci e stabilità, e l’obiettivo per il 2020 è di farne il 50% in più.
Il progetto sull’uso del citofluorimetro non si ferma qui –“stiamo continuando a studiare le potenzialità applicative di questo strumento – conclude Nencioni – tra le indagini future puntiamo sulla ricerca dei patogeni nei cosmetici e negli integratori”-.